“La pulsione in Freud e in Lacan”

Il narcisismo, Annali della Sezione Clinica di Milano, Edizione La Vita Felice, Milano 2001

In questo testo cercherò di riassumere a grandi linee il concetto di pulsione così come è stato sviluppato da Freud in “Pulsioni e loro destini” (nota 1) e, successivamente, ripreso da Lacan nel Seminario XI. I Quattro concetti della psicoanalisi (nota 2).

Narcisismo e pulsione 

Il narcisismo e la pulsione sembrano essere due termini antitetici: da un lato, infatti, abbiamo la relazione immaginaria e speculare con l’altro – che deriva fondamentalmente dallo stadio dello specchio – e, dall’altro, abbiamo la pulsione che vuole soltanto essere soddisfatta. Da un lato c’è l’investimento narcisistico dell’io, rappresentato dall’io ideale, e, dall’altro, c’è una forza che preme incurante di qualsiasi ideale e di qualsiasi legge. 

Spesso, infatti, l’entrata in analisi è motivata precisamente dalla situazione conflittuale, più o meno dolorosa, in cui il soggetto si trova, diviso tra la sua immagine ideale e quelle che sono le sue pulsioni. Talvolta il carattere insopportabile e “scandaloso” della pulsione - che non si vuole né si può ammettere - proprio in quanto elemento insopportabile, è ciò che scalfisce, gettandovi delle ombre, l’immagine ideale che l’io si è costruito. Questa ferita narcisistica, quindi, può essere un motivo che conduce all’entrata in analisi. Per minare la fortezza narcisistica alle sue fondamenta, per far cadere ad una ad una tutte le identificazioni immaginarie dell’io, è necessario, però, che il percorso dell’analisi venga seguito sino al suo termine. Nondimeno l’incontro con la pulsione è proprio ciò che, fino alla fine, ognuno vuole evitare; ed è su questo tentativo di evitamento, su questa fuga, che un’analisi può interrompersi prima di essersi conclusa, prima cioè di aver raggiunto la sua fine. 

L’obiettivo di un’analisi, però, non è né quello di celebrare – dandole libero sfogo – la pulsione né, tanto meno, di negarla; si tratta, piuttosto, di trovare una nuova alleanza tra la pulsione che appartiene al registro del reale e il simbolico, tra la pulsione di morte e il narcisismo che si costituisce nel campo dell’Altro. 

Il mathema utilizzato da Lacan nel suo scritto “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio” (nota 3) per indicare la pulsione (S <> D) può essere inteso già come un tentativo in questa direzione, il tentativo, cioè, di fare passare il soggetto dal silenzio della (e sulla) pulsione al significante (nota 4). La pulsione per Lacan, come spiega Jacques-Alain Miller in Silet, nel momento della stesura di questo testo, è una domanda silenziosa, un’articolazione senza testo, senza enunciato che, però, si “struttura in termine di linguaggio” (nota 5) e che si impone al soggetto. Ed è in questo senso che J.-A. Miller parla anche di una grammatica delle pulsioni; questa teorizzazione di Lacan, nella lettura milleriana, rappresenta tuttavia una sorta di proscrizione della pulsione. E’ solo nel 1964, con il Seminario XI, che Lacan riabilita il concetto di pulsione e questo attraverso la sua rilettura del testo di Freud. 

Commento al testo 

Prima di affrontare il testo di Freud, vorrei, comunque, ricordare i concetti base da lui elaborati nel testo “Introduzione al narcisismo” (1914). In questo testo Freud dimostra – o, forse, per il carattere aperto e in alcune parti contraddittorio del testo si dovrebbe dire postula - l’esistenza di due gruppi di pulsioni originali: da un lato le pulsioni dell’Io o di autoconservazione e, dall’altro, le pulsioni sessuali che puntano alla riproduzione della specie umana, alla sua conservazione. 

Nell’anno successivo alla redazione di questo testo, e cioè nel 1915, Freud riprende il tema delle pulsioni sviluppandolo ulteriormente nel testo “Pulsioni e loro destini”. In questo momento Freud abbandona la differenziazione, l’opposizione tra pulsioni dell’io e pulsioni sessuali per studiarne in dettaglio la struttura e le vicissitudini. Sin dall’inizio del testo, Freud definisce la pulsione – per lui un concetto limite tra lo psichico e il somatico – come “una forza costante che preme dall’interno del corpo e contro la quale non c’è fuga possibile”. Utilizzando il vocabolario scientifico del suo tempo, Freud esprime già il carattere “reale” della pulsione, il suo aspetto incontenibile. Nel Seminario XI, Lacan riprende la teorizzazione freudiana della pulsione nel corso di tutto il testo e, più in particolare, commenta il testo di Freud nei capitoli che J.-A. Miller ha intitolato: “Smontaggio della pulsione” (XIII) e “La pulsione parziale e il suo circuito” (XIV). Come ho già anticipato, l’anno 1964 ha rappresentato un momento importante nella ripresa del concetto di pulsione da parte di Lacan; è solo a partire da quest’anno, infatti, che Lacan ammette la pulsione nella lista dei “concetti fondamentali della psicoanalisi” e che la struttura della pulsione viene articolata alla struttura delle formazioni dell’inconscio attraverso quello che J.-A. Miller chiama “un legame di necessità”

Nei capitoli XIII e XIV del Seminario XI, Lacan comincia la sua analisi della teorizzazione freudiana riflettendo sul significato del termine tedesco Trieb (pulsione) e affermando che il senso attribuitogli da Freud è molto particolare. Freud, cioè, dice Lacan, gli ha dato “un uso molto specifico”: il termine pulsione, infatti, da Freud in poi, ha assunto una connotazione – se così possiamo dire – squisitamente analitica. Tutti – dice Lacan – lo utilizzano come una sorta di “dato radicale della nostra esperienza”, cioè dell’esperienza analitica. In questo senso sarebbe interessante affrontare la questione della pulsione nei nuovi sintomi tenendo a mente anche il valore, le connotazioni, che il discorso sociale, nel corso di questo ultimo secolo, ha via via attribuito al termine pulsione. 

 

Prima di affrontare la concezione freudiana della pulsione, prima di “ritornare” effettivamente al testo di Freud, Lacan fa una breve riflessione che ci fa comprendere il fraintendimento di fondo che si è venuto a creare attorno al senso stesso del termine pulsione; egli, infatti, fa riferimento a quanti lo accusano di una certa intellettualizzazione e, in particolare, a quanti sostengono che egli ha, in un certo senso, dimenticato la pulsione. L’aforisma lacaniano dell’inconscio strutturato come un linguaggio, cioè, viene letto sia dalle altre scuole psicoanalitiche che da alcuni suoi allievi come una sorta di esclusione – Lacan utilizza precisamente il termine di negligenza (che deriva dal latino “negligere” che significa “non raccogliere”) -, di una dimenticanza del concetto di pulsione. La proscrizione del concetto di pulsione che J.-A. Miller ha rilevato nella sua riflessione sull’insegnamento di Lacan non corrisponde, però, alla dimenticanza imputatagli da altri autori. Questi ultimi, di fatto, sono ancora legati alla lettura biologica del concetto freudiano di pulsione e, per questo motivo, non possono comprendere la differenza profonda e, al tempo stesso, l’annodamento molto particolare esistente tra i tre registri teorizzati da Lacan – simbolico, immaginario e reale (che in seguito diventeranno RSI) – che, invece, attraverso il mathema della pulsione, possiamo supporre essere già presente nell’elaborazione lacaniana. Secondo questi autori, quindi, l’utilizzo del mathema da parte di Lacan diventa una sorta di riflessione “algebrica” che, proprio per questo motivo, dimentica la pulsione. Di fatto l’utilizzo del mathema assume per Lacan, in questo caso specifico, un’altra funzione. Egli, infatti, quando nel capitolo XIII del Seminario XI fa riferimento alla pulsione nell’esperienza analitica, indica che si tratta di qualcosa che si può scrivere - o meglio che si può tentare di scrivere – solo con un mathema: la pulsione, dice Lacan 

è “qualcosa che ha un carattere d’irreprimibile anche attraverso le repressioni – d’altronde, se ci deve essere repressione è perché c’è qualcosa al di là che spinge”
J. Lacan (SEM. XI, p. 148).

Questa, in effetti, è la traduzione lacaniana della definizione freudiana della pulsione che ho citato in precedenza. La pulsione, cioè, è qualcosa che spinge ma che, come sottolinea Lacan, non è del registro dell’organico, non concerne la vita organica – e questo è precisamente l’inganno in cui sono caduti i suoi detrattori per i quali, invece, la pulsione è dell’organico, è qualcosa di primigenio, di biologico. In realtà la questione della pulsione concerne, come scrive con molta chiarezza Massimo Recalcati nel suo testo Il vuoto e il resto. Jacques Lacan e il problema del reale (nota 6), “ciò che disarticola il naturalismo dell’istinto. La pulsione ... non ha nulla di naturale”. Vedremo più avanti, comunque, come la pulsione sia piuttosto dell’ordine del significante. Per fare chiarezza Lacan, in seguito, prosegue facendo una distinzione netta fra la pulsione e la spinta – Drang -. La spinta, infatti, non è la pulsione ma fa parte dei quattro termini che si devono distinguere nella pulsione e cioè: la spinta, la fonte, l’oggetto e la meta. Questi termini, di fatto già presenti in Freud, sottolinea ancora Lacan, non definiscono una concezione se così si può dire “naturalistica” della pulsione. In questo senso la pulsione, secondo Lacan, è un concetto fondamentale della psicoanalisi così come esistono i concetti fondamentali della fisica o gli assiomi di base della logica. Si tratta, dunque, dice ancora Lacan riprendendo Freud, di una convenzione, cioè di una fiction nel senso benthamiano del termine.

Ritorniamo ora a Freud e ai quattro elementi fondamentali della pulsione e cioè la spinta, la fonte, l’oggetto e la meta. 

La spinta, dice Freud, è “l’elemento motorio” della pulsione, è la tendenza a scaricarsi di uno stimolo interno che non deve essere inteso in senso biologico ma piuttosto nel senso di uno stimolo come quello della fame o della sete. La spinta, quindi, è ciò che tende all’annullamento della tensione, al suo azzeramento. In questo senso Lacan parla precisamente di un supplemento di energia, di un’eccitazione interna che deve essere scaricata. Per cogliere bene il senso dell’aggettivo interno è necessario, però, – ed è quanto Lacan fa – sottolineare che, in questo caso, non si tratta dell’organismo nella sua totalità ma, bensì, del Real-Ich. Quando, cioè, pensiamo alla pulsione non dobbiamo fare riferimento all’io, come luogo di tutte le identificazioni, ma al Real-Ich – cioè al vaso di fiori nascosto che, nello schema ottico elaborato nella “Nota alla relazione di Daniel Lagache”, contiene gli oggetti pulsionali – inteso come una superficie e, quindi, in senso topologico. Alcuni elementi di questa superficie vengono investiti pulsionalmente, in essi cioè si produce un’energia, un’energia potenziale. Freud, e con lui Lacan, mette in evidenza il fatto che la pulsione è una “forza costante” – una Konstante Kraft – in cui l’energia rimane sempre in potenza, non si consuma, non diminuisce. La spinta della pulsione, quindi, apre su qualcosa che non persegue il principio di piacere ma che va al di là del principio di piacere. Tutto ciò ribadisce ancora una volta il carattere non-biologico della pulsione, il fatto, cioè, che non si tratta di una forza che, come solitamente accade, si esaurisce ma, bensì, di una forza inesauribile. E in questo senso si può parlare della pulsione anche come di una domanda insaziabile. 

La meta, dice Freud, “è il soddisfacimento – la Befriedigung – che si realizza sopprimendo lo stato di stimolazione”. Questa definizione, apparentemente molto chiara, entra in conflitto con il carattere non biologico della pulsione e – come mostra molto bene Lacan nel suo commento – in particolare con il concetto di sublimazione. Freud, infatti, fra i vari destini della pulsione, propone anche quello della sublimazione come una soddisfazione della pulsione che si realizza nonostante sia inibita alla meta. Si tratta, allora, di sapere in che modo la pulsione possa soddisfarsi nella sublimazione oppure – ed è quello che ci interessa in questa sede - nel sintomo. La soddisfazione attraverso il sintomo è anch’essa paradossale: nel sintomo, infatti, la soddisfazione si ottiene seguendo sia le vie del piacere che quelle del dispiacere. Per spiegare il senso di questa particolare soddisfazione, Lacan fa riferimento alla categoria dell’impossibile che, come egli sottolinea, è già presente in Freud. L’impossibile corrisponde fondamentalmente al concetto di reale così come è stato elaborato da Lacan; per Freud, in particolare, il reale è ciò che, nella pulsione, fa ostacolo al principio di piacere, ciò che, proprio per questa sua alterità rispetto al principio di piacere, ammette qualcosa di nuovo e cioè, dice Lacan, l'impossibile.

Questo aspetto dell’impossibile è presente anche nella definizione che Freud dà dell’oggetto della pulsione. L’oggetto, dice Freud, non ha alcuna importanza, è totalmente indifferente, irrilevante. Il che significa che la pulsione, benché tenda alla propria soddisfazione, non si soddisfa, di fatto, di alcun oggetto. Per la pulsione orale, ad esempio, non si tratta tanto del cibo quanto, piuttosto, del seno e, quindi, di un oggetto particolare che mostra ancora una volta il carattere impossibile della soddisfazione stessa. 

La fonte, per finire, è definita da Freud come il “processo somatico che si svolge in un organo o parte del corpo il cui stimolo è rappresentato nella vita psichica dalla pulsione”. A questa definizione Lacan aggiunge l’idea secondo cui le cosiddette zone erogenee sono contraddistinte dal fatto di avere una struttura di bordo. Per questo motivo egli parla della bocca (come fonte della pulsione orale), dell’ano (come fonte della pulsione anale) e non, invece, dello stomaco o dell’esofago. Il margine, il bordo, quindi, è precisamente la fonte, il punto da cui prende avvio un particolare tipo di pulsione.

Dopo aver descritto gli elementi costitutivi delle pulsioni, Freud passa all’analisi dei loro destini che sono quattro come pure gli elementi che li costituiscono. Il primo destino indicato da Freud è quello della trasformazione nel contrario e, più in particolare, egli parla del passaggio dall’attività alla passività e dell’inversione di contenuto. Il secondo destino della pulsione, invece, è quello di volgersi sulla persona stessa del soggetto; in questo senso, Freud approfondisce e si dilunga sul tema del masochismo inteso come sadismo rivolto contro il proprio io. Egli sostiene anche che “l’esibizione implica la contemplazione del proprio corpo”. Il terzo destino della pulsione è quello della rimozione mentre l’ultimo è quello della sublimazione. Freud, comunque, non sviluppa molto il senso di questi due ultimi destini; il suo desiderio, infatti, lo porta a interrogarsi sul rapporto esistente fra odio e amore. Egli, infatti, è molto sicuro quando, senza formulare una vera e propria giustificazione teorica, scrive che “La trasformazione di una pulsione nel suo contrario (in senso materiale) viene osservata in un caso soltanto: nella conversione dell’amore in odio” ! Visto che questo tema è estremamente complesso e dal momento che in questa sede vorrei trattare esclusivamente la questione della pulsione, rivolgo ora la mia attenzione alla lettura che Lacan fa del testo freudiano.

Lacan, a differenza di Freud, non si dilunga troppo sui quattro destini della pulsione perché, se così si può dire, egli riflette piuttosto sulla struttura stessa di questi destini. Secondo Lacan, Freud dice molto semplicemente, ad esempio, che l’esibizionismo è il contrario del voyeurismo per delle “ragioni puramente grammaticali, d’inversione del soggetto e dell’oggetto”. Lacan, cioè, iscrive la pulsione nel campo dell’Altro nel senso – e qui cito ancora il testo di Massimo Recalcati – che “la logica che comanda la pulsione non è una logica biologica-evolutiva ma riguarda la dimensione significante della domanda”. Capiamo bene, allora, il valore che la definizione lacaniana delle cosiddette “ragioni puramente grammaticali” assume: queste ragioni, infatti, si riferiscono precisamente alla mancanza di “naturalità” – se così si può dire – che la pulsione aveva già nell’elaborazione freudiana. Lacan, inoltre, ai quattro elementi evidenziati da Freud ne aggiunge uno nuovo – che nel testo freudiano si trova piuttosto tra le righe – e cioè il concetto di “montaggio pulsionale”. Il termine montaggio suggerisce già quella che sarà l’elaborazione lacaniana della pulsione e cioè un’elaborazione di tipo topologico. Nel Seminario XI, Lacan definisce il significato più comune del termine montaggio come qualcosa che “scatena una reazione più o meno appropriata”. Il montaggio, quindi, sarebbe un movimento che parte da un punto d’inizio per giungere a un punto d’arrivo e che produce, comunque, un qualche effetto. Nella pulsione, però, non si tratta di questo. Lacan, infatti, sottolinea precisamente che il montaggio della pulsione “in primo luogo, si presenta come senza né coda né testa”; a questo aggiunge che lo si deve intendere “nel senso di un collage surrealista”. In effetti il collage è l’espressione artistica più elevata secondo le teorizzazioni estetiche proprie del surrealismo. In nome di procedimenti creativi quali l’automatismo, l’utilizzo del sogno e dell’inconscio, la poesia surrealista diventa essa stessa un collage, come pure lo diventano il romanzo o la pittura. Lacan, in questo senso, propone un’immagine abbastanza surrealista di quello che per lui rappresenterebbe meglio il montaggio della pulsione. Quest’immagine sarebbe quella del “movimento di una dinamo collegata a una presa del gas, da cui esce una piuma di pavone che solletica il ventre di una bella donna”! A parte l’immagine un po’ variopinta e senza dubbio surrealista, Lacan, subito dopo, spiega che cosa si debba ritenere di questo particolare collage. Egli dice – citando ancora Freud – che “quando si tratta del Triebreiz – del tragitto della pulsione – è perché dall’altro lato (e quindi all’esterno) c’è barriera”. Nella pulsione, cioè, non c’è barriera, non si verifica il funzionamento di barriera, in quanto l’investimento pulsionale è interno al campo stesso. In questo campo non funziona alcuna barriera perché, come aggiunge Lacan,

"...è precisamente nella misura in cui delle zone annesse, connesse, sono escluse che delle altre assumono la loro funzione erogena, che diventano delle fonti specifiche per la pulsione."
J. Lacan

 Da questa frase si può cogliere, quindi, il carattere in un certo qual modo autistico del godimento pulsionale in quanto ogni parte del corpo può fare bordo attorno a sé.

Nel capitolo successivo del testo, che si intitola “La pulsione parziale e il suo circuito”, Lacan parte dal punto in cui aveva concluso la lezione precedente e cioè dal concetto di montaggio pulsionale. A questo concetto, però, egli aggiunge nuovi elementi:

“La pulsione – dice Lacan – è precisamente questo montaggio attraverso cui la sessualità partecipa alla vita psichica in modo da conformarsi alla struttura di beanza che è propria dell’inconscio”
J. Lacan ( SEM. XI, p. 160)

Quando Lacan parla della struttura di beanza egli si riferisce al vuoto, al buco in quanto costitutivo della struttura stessa del soggetto e, più in particolare, alla definizione metaforica dell’inconscio (che si trova nel capitolo successivo a questo) inteso come una sorta di vescica che si apre e si chiude su stessa. Questa beanza, questo vuoto centrale è precisamente ciò che permette il funzionamento stesso della pulsione. Lacan, riprendendo in parte una frase di Eraclito citata all’inizio del capitolo, dice che quest’ultima “integra la dialettica dell’arco, del tiro dell’arco”. In seguito Lacan riflette sul senso delle coppie antitetiche – attività vs passività, sadismo vs masochismo, ecc.. – presenti nel discorso freudiano. L’analisi freudiana delle varie forme dei verbi, infatti, è fondamentale in quanto rappresenta il movimento proprio di andata-ritorno (aller-retour) tipico della pulsione. La pulsione, aggiunge Lacan, non può essere separata da questo suo movimento, “dalla sua fondamentale reversione, dal suo carattere circolare”. Ed è proprio per rappresentare la circolarità della pulsione che Lacan disegna l’immagine di un vettore che attraversa una superficie piana con una base circolare. (immagine disponibile nel pdf scaricabile)

“La tensione – dice Lacan – è sempre anello (boucle) e non può essere scollegata (Lacan utilizza precisamente il termine désolidarisée che si riferisce a qualcosa a cui è stata tolta la solidarietà, il sostegno) dal suo ritorno sulla zona erogena”. Questo è, dunque, il movimento della pulsione : un ritorno circolare (en circuit) che corrisponde ad un girare attorno all’oggetto piccolo a senza poterlo mai raggiungere. 

Di fatto, che cos’è questo oggetto piccolo a attorno a cui la pulsione gira – se così si può dire – a vuoto? L’oggetto piccolo a ha una funzione specifica, cioè la funzione di essere causa del desiderio. Tutti gli altri oggetti, invece, sono contraddistinti dal fatto che nessuno di essi soddisfa mai completamente la pulsione. Ed è proprio per fare un esempio dell’oggetto della pulsione che Lacan riporta l’immagine dell’autoerotismo descritta da Freud: una bocca che si bacia. In questo caso si vede bene che l’oggetto non è l’altra bocca ma, piuttosto, nei termini stessi di Lacan, la “presenza di un cavo, di un vuoto, occupabile, ci dice Freud – da qualsiasi altro oggetto”, in quanto oggetto piccolo a. L’oggetto piccolo a, cioè, entra nella dinamica della pulsione orale proprio perché nessun cibo può soddisfarla. Lo stesso vale per le altre pulsioni che, comunque, come sottolinea Lacan, non rappresentano in alcun modo una sorta di evoluzione biologico-naturalistica (la pulsione anale, cioè, non rappresenta un’evoluzione rispetto a quella orale, ecc.). Ciò che contraddistingue tutte le pulsioni, invece, è la presenza di una forza costante – come diceva Freud -, di una tensione stazionaria. L’immagine freudiana dello Schub (la spinta) rappresenta la pulsione come una colata di lava, come – e qui cito Lacan – “ qualcosa che esce da un bordo, che ne raddoppia la struttura chiusa, seguendo un tragitto che fa ritorno “ (SEM. XI, p. 165) e che gira attorno all’oggetto. Per questo motivo, nel voyeurismo, ad esempio, l’oggetto non è ciò che si vede ma piuttosto lo sguardo in quanto oggetto perduto e, in seguito, ritrovato grazie all’intervento dell’altro. Ciò che il voyeur cerca di vedere, in effetti, - dice ancora Lacan – “ non è ..... il fallo ma precisamente la sua assenza”. Si capisce bene, allora, come mai Lacan abbia sottolineato il carattere grammaticale, dell’analisi freudiana della pulsione. Così come la catena significante è costituita fondamentalmente dall’opposizione presenza-assenza, analogamente il movimento di andata-ritorno costitutivo della pulsione sembra essere soggetto alle medesime leggi di struttura. In effetti, se ci si sofferma sull’affermazione di Lacan secondo cui “..se, grazie all’introduzione dell’altro, la struttura della pulsione appare, questa si completa realmente solo nella sua forma ribaltata, nella sua forma di ritorno che è la vera pulsione attiva” (SEM. XI, p. 166), è difficile non vedere sullo sfondo il movimento del desiderio così come è stato rappresentato da Lacan nella cellula elementare del grafo del desiderio (nello scritto “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio” (nota 7)). In questo senso è senza alcun dubbio illuminante una frase che Jacques-Alain Miller ha pronunciato durante una sua conferenza che si è tenuta a Los Angeles. Il testo della conferenza è stato pubblicato nella rivista La Cause freudienne con il titolo “Les paradigmes de la jouissance” (nota 8). Nel testo, di cui si trova una traduzione anche nel numero 26 de La Psicoanalisi, J.-A. Miller enuclea sei diversi paradigmi presenti nella dottrina lacaniana del godimento. Nel quarto paradigma, intitolato “Il godimento normale”, J.-A. Miller, riferendosi al godimento pulsionale, dice che esiste

“un’articolazione stretta tra simbolico e godimento. Si tratta di mostrare che il godimento, a questo riguardo, non viene come qualcosa in più, ma che si inserisce nel funzionamento del significante, che è connesso al significante”
J.-A. Miller (“Les paradigmes de la jouissance” p. 15).

La scansione di andata-ritorno della pulsione, quindi, riproduce la scansione significante minima S1 – S2 . In questo senso Lacan riporta l’esempio dell’asceta che si flagella solo “per designare il ritorno, l’inserzione sul corpo proprio, dell’inizio e della fine della pulsione” ! 

Per concludere sulla parte finale del capitolo XIV, ci si può interrogare sul senso stesso della pulsione. Dopo averla definita come la modalità di un soggetto acefalo in quanto “tutto si articola in termini di tensione” (e per questo motivo la pulsione – continua Lacan – “assume il suo ruolo nel funzionamento dell’inconscio”), Lacan termina la sua analisi con una frase che fa riflettere. Egli dice, cioè, che

“il cammino della pulsione è l’unica forma di trasgressione permessa al soggetto in relazione al principio di piacere”.
Lacan

Per comprendere appieno il senso di questa formulazione, per capire quale sia precisamente il godimento di questa trasgressione sono molto utili le indicazioni enucleate da J.-A. Miller nel suo quarto paradigma a proposito di quello che egli definisce il “godimento normale”. 

Nei “Paradigmes de la jouissance”, J.-A. Miller ha ricomposto “il movimento che anima l’insegnamento di Lacan relativamente alla dottrina del godimento”. Prima del quarto paradigma il il concetto di godimento nella riflessione di Lacan subisce quella che J.-A. Miller ha chiamato l’immaginarizzazione del godimento, nel senso che il godimento, fondamentalmente immaginario, è considerato un ostacolo o una barriera all’elaborazione simbolica. Nel primo periodo dell’insegnamento di Lacan, cioè, l’immaginario è ciò che resta fuori dalla presa del simbolico, il quale, tuttavia, al tempo stesso lo domina. In seguito, però, il godimento subisce un processo di completa significantizzazione; ed è in questo preciso momento che Lacan mostra per la prima volta il legame esistente fra le pulsioni e il linguaggio. Il mathema della pulsione, che abbiamo già citato in precedenza, come pure quello del fantasma sono degli esempi molto rappresentativi del tentativo fatto da Lacan per ridurre – come dice J.-A. Miller – la pulsione a una catena significante facendola rientrare sotto l’egida del significante. La pulsione, in questo caso, è “la domanda inconscia in posizione di significante e il desiderio in posizione di significato”. Nel terzo paradigma, quello del “godimento impossibile”, la teorizzazione di Das Ding – che J.-A. Miller in questo testo definisce come “l’Altro dell’Altro” – fatta da Lacan nel suo Seminario sull’etica della psicoanalisi corrisponde all’entrata in scena del godimento come oggetto, come, cioè, quello che sarà l’oggetto piccolo a

Eccoci, quindi, al quarto paradigma, che J.-A. Miller riferisce in particolare alla svolta rappresentata dal Seminario XI e del quale sottolinea il carattere antitetico rispetto al precedente paradigma. In questo momento del suo insegnamento, Lacan ritorna a una nuova alleanza tra il simbolico e il godimento, tra il significante e il godimento. Per spiegare i quattro concetti fondamentali della psicoanalisi – cioè inconscio, ripetizione, transfert e pulsione -, Lacan abbandona il concetto di Das Ding per privilegiare quello di oggetto piccolo a. Da un godimento impossibile, a cui si accede solo attraverso la trasgressione (vedi l’esempio di Antigone), Lacan passa all’idea di un godimento frammentato in vari oggetti piccolo a che riproducono la Cosa ma che, al tempo stesso, dipendono dall’Altro. In questo paradigma J.-A. Miller dice che

“il godimento pulsionale è un godimento automatico –– colto seguendo il cammino normale della pulsione, il suo aller et retour, e senza trasgressione”.
J.-A. Miller

Questa frase sembrerebbe in contraddizione con quanto dice Lacan: c’è o non c’è, allora, trasgressione? Di fatto non c’è alcuna trasgressione in quanto il funzionamento normale della pulsione è precisamente ciò che risponde – e, al tempo stesso, riproduce – al vuoto strutturale del soggetto, alla sua mancanza a essere come condizione costitutiva dell’essere umano. È in questo senso, infatti, che Lacan – sempre nel Seminario XI – parla della pulsione in quanto include una beanza, in quanto descrive il movimento di un arco che gira attorno all’oggetto piccolo a. Nello stesso paradigma, J.-A. Miller sottolinea anche l’alleanza tra pulsione- godimento e inconscio-simbolico. Questa volta, però, non si tratta tanto della soggezione della pulsione alle leggi del significante quanto, piuttosto, in un certo senso, dell’inverso. Egli, infatti, fa notare come sia precisamente nel Seminario XI che Lacan introduce una nuova immagine dell’inconscio. Lacan, cioè, come abbiamo in parte già visto, rende l’inconscio omogeneo a una zona erogena rappresentandolo come un bordo che si apre e si chiude. Da un lato, quindi, la struttura dell’inconscio mostra la spazio, il vuoto centrale in cui viene a collocarsi l’oggetto piccolo a e, dall’altro, l’oggetto piccolo a entra in gioco come elemento del godimento, come elemento del reale “che riproduce la Cosa, ne è la figura elementare, ma, dall’altro lato, è collegato all’Altro. ... È come se, nell’oggetto piccolo a, l’Altro del significante imponesse la propria struttura alla Cosa”. La proprietà significante dell’oggetto piccolo a, infatti, è proprio quella di presentarsi come un elemento “che incarna la sua iscrizione nell’ordine simbolico”. 

 

 

1 S. Freud, “Pulsioni e loro destini” in Opere, Boringhieri, Torino 1992.
2 J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964, Einaudi, Torino 1979.  3 J. Lacan, “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio”, in Scritti, Einaudi, Torino 1974.
4 E. Leclerc-Razavet, “Narcissisme et pulsion”, in Narcisse et son Autre, Bulletin de l’ACF-IDF, Parigi 2000.
5 J.-A. Miller, Silet, in “La Psicoanalisi”, n. 19-24, Astrolabio, Roma 1996-1998.
6 M. Recalcati, Il vuoto e il resto. Jacques Lacan e il problema del reale, librerie CUEM, Milano 1993.
7 J. Lacan, “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio”, in Scritti, Einaudi, Torino 1974.
8 J.-A. Miller, “Les paradigmes de la jouissance” in La Cause freudienne, n. 43, Parigi 2000.