“La certezza dell’atto .. tra acting out e passaggio all’atto”.

Intervento-lampo pronunciato durante la Giornata clinica della SLP “Atto, passaggio all’atto, acting-out” del 22 ottobre 2022.

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Come ci insegna Lacan nel Tempo logico, la certezza è connotata dall’anticipazione… il soggetto non sa, ma si lancia, agisce (o meglio ancora è agito) mosso dalla certezza o da un impossibile. Non può fare a meno di… Addirittura, dice ancora Lacan, “la verità si manifesta (…) nell’atto che genera la sua certezza”.[1] Quindi l’atto, l’agire, viene al posto del soggetto, lo soppianta, strappando “all’angoscia la sua certezza”. Non c’è spazio né per il soggetto né per i suoi dubbi o pensieri. Possiamo dire che, con l’atto, si manifesta qualcosa del reale del godimento ed è in questo che anche l’atto analitico è desoggettivato, cioè senza soggetto. Possiamo affermare, quindi, che in questo caso siamo nel campo di una clinica dell’oggetto e non del soggetto.

Che ne è, però, della differenza tra acting out e passaggio all’atto all’epoca in cui la spinta al godimento è al primo posto sulla scena, a scapito degli ideali o dei legami simbolici? Come leggere i “divini dettagli” o i “segni discreti” e, nel caso, aiutare contro?

Nel suo corso Extimità, Jacques-Alain Miller consacra parte della sua lezione del 4 giugno 1986 alla lettura dell’acting out. Nell’acting out, ci dice, l’Altro è “sospeso, messo tra parentesi” pur essendo, di fatto, il destinatario finale dell’azione, lo spettatore di quanto viene messo in scena. Da un lato, quindi, l’Altro esiste come spettatore, ma solo con questa funzione, dall’altro l’Altro del linguaggio viene di fatto cortocircuitato, escluso, bypassato. Al suo posto entra in scena l’oggetto: come dice Lacan nel Seminario X: “l’acting out è qualcosa, nella condotta del soggetto, che si mostra” (p. 133), non che si dice. Jacques-Alain Miller suggerisce una possibile formula dell’acting out, in quanto “acting out dall’Altro” (che potremmo tradurre come un agire fuori dall’Altro): S/ (A) a. Si tratta di una formula che si ispira alla formula del fantasma in cui però, al posto del punzone, viene posto l’Altro come spettatore.

Sappiamo che la formula del fantasma non si realizza nella realtà, che l’oggetto a è un sembiante del godimento, mentre nel cortocircuito dell’acting out, segnala Miller, il “soggetto crede di ottenere l’oggetto nella realtà”, crede cioè di entrarci in contatto, “per il godimento dell’Altro”. In questo Miller indica che quello che il soggetto ottiene è piuttosto “la verità di godimento”, vale a dire un sembiante di godimento, interamente sotto l’egida dell’Altro. In altri termini, l’acting out servirebbe a far godere l’Altro ed è in questo senso che Miller sostiene anche che le “perversioni transitorie” illustrano molto bene gli acting out. “L’essenziale di ciò che viene mostrato”, dice infatti Lacan nel Seminario X, “è questo resto, la sua caduta, ciò che cade nella faccenda” (p. 135), la libbra di carne donata all’Altro per farlo godere. Nel caso dell’uomo delle cervella fresche, ad esempio, il paziente mostra all’analista – attraverso l’acting out – che c’è un resto, le cervella fresche… messe in scena. Come indica però Miller, l’acting-out mostra bene “le affinità tra il reale e il sembiante. Nell’acting out il carattere di messa in scena dell’esperienza analitica diventa patente, al punto da sovvertire l’esperienza stessa”. Il che rende l’orientamento verso il reale cruciale per l’esperienza analitica in quanto tale, poiché essa parte dal sembiante per produrre, per estrarre un reale.

Nel caso del passaggio all’atto, la situazione è molto differente. Come dice Lacan: “tutto quello che è acting out è antitetico al passaggio all’atto” (Seminario X, p. 132). Ben diversa, infatti, è la situazione in cui l’Altro non esiste e il soggetto ha da sbrogliarsela – tutto-solo – con la causa significante e il suo carico di godimento. Come indica F. Biagi nel suo testo pubblicato in Scilicet, Le psicosi ordinarie e le altre, nei passaggi all’atto psicotici c’è un “cortocircuito della parola quando questa è senza aldilà”, vale a dire senza l’Altro. Al posto dell’Altro della parola, “l’indice di esteriorità del soggetto a se stesso, al suo corpo, rivela una zona muta della libido”[2]. Ed è da questa zona vuota, zona della separazione, che emerge l’elemento non simbolizzato, il godimento sregolato che produce, in un istante di certezza, il passaggio all’atto. A differenza dell’acting out, il passaggio all’atto, dice ancora Lacan nel Seminario X, è “dal lato del soggetto in quanto questo appare cancellato in modo estremo dalla barra” (p. 125). Da questo posto vuoto, il soggetto del “non penso” “si precipita e cade fuori dalla scena”, liegen lassen, si lascia cadere come la giovane omosessuale dall’inferriata sul binario del treno.

Un altro caso è quello riferito da una giovane donna ricevuta per una prima consultazione: qualcuno (chi? Lei? il marito?) ha detto “Il dado è tratto” e tutto è precipitato. La valigia nella stanza è diventata l’oggetto minaccioso che conteneva una bomba e che l’ha spinta a chiamare la polizia perché qualcuno voleva ucciderla. Dal momento in cui è emerso il significante “il dato è tratto” il movimento è stato istantaneo e, al contempo, inarrestabile. Come possiamo notare, in questa situazione, la catena significante, priva di connessioni, ha prodotto un tentativo di recupero dell’oggetto piccolo a. Il passaggio all’atto però non è rivolto all’Altro, non richiede interpretazione (a differenza dell’acting out), è piuttosto una risposta del reale. In questo esso permette la separazione dell’Altro e l’estrazione dell’oggetto cattivo che, per il soggetto, si trova nel campo dell’Altro. Come scrive Francesca Biagi: “la rigidità della catena significante, che l’oggetto a non articola nel fantasma, fa sì che in ogni momento la psicosi ordinaria può diventare straordinaria in un tentativo selvaggio di recupero dell’oggetto”[3]. Tale tentativo, però, è impossibile in quanto l’oggetto lo psicotico ce l’ha in tasca, non l’ha mai perduto.

Mentre nel caso dell’acting out, l’analista è chiamato ad interpretare, o a sottolineare quello che del “sono laddove non penso” il soggetto ha dato a vedere, di fronte al passaggio all’atto il margine d’azione è molto più ristretto. Si tratta, forse, di permettere al soggetto di localizzare – dicendolo – quel vuoto che lo abita e che lo ha spinto all’atto. In un legame di parola, dentro il dispositivo analitico, dice ancora Biagi, si “può attenuare il rigore di un reale minaccioso riponendolo logicamente nel grande libro del sapere”[4], per dargli un colore che sia più vivibile, per renderlo, se possibile, un po’ più immaginario… vale a dire condividibile.

 

[1] J. Lacan, Le temps logique et l’assertion de certitude anticipé, Ecrits, p. 211.

[2] F. Biagi-Chai, “Passage à l’acte », in AA.VV., Les psychoses ordinaires et les autres sous transfert, AMP, 2018, p. 258.

[3] Ivi, p. 259.

[4] Ivi, p. 260.