Intervento sul razzismo

in Memoria e antirazzismo per Miklos Radnoti a cura di T. Kemeny, Arcipelago Edizioni, Milano, 2014.

Purtroppo, in quanto analista, quella che mi tocca è la parte del realismo… che stona un po’ le belle poesie ascoltate sinora. Concordo appieno con il testo di Leonardo Terzo: l’aggressività distruttiva, che in psicoanalisi si chiama anche pulsione di morte, è la causa del razzismo, che è solo una delle sue possibili manifestazioni.

Ed è anche vero che ognuno coglie le differenze, di razza o meno, ad ogni modo la differenza tra sé e l’altro… il problema è cosa poi se ne fa: se quella che prima era una formula di protezione: “Prima le donne e poi i bambini”, ora diventa una formula di discriminazione … le cose cambiano: oggi come mai prima qualsiasi differenza, particolarità, può dare origine all’aggressività, o per difenderla o per attaccarla. Ma perché accade questo?

Già gli inizi degli anni settanta, il grande psicoanalista francese Jacques Lacan aveva preconizzato l’avvento di nuove forme di razzismo, e ne aveva spiegato la specificità. A differenza di Freud che, nel secolo scorso, aveva descritto l’odio per l’altro come un sentimento spesso legato all’identificazione a un leader, a fare uno con lui, con il Padre, contro l’altro, Lacan parla in un’epoca, quella in cui siamo tutti immersi, l’epoca delle società dei fratelli: tutti fratelli, non soggetti all’autorità, con come unico culto quello del corpo proprio. Negli anni ’70 Lacan sostiene che il razzismo si “radica nel corpo, nella fraternità del corpo” e che sarà sempre peggio... Il razzismo, cioè, ha la sua radice nel corpo del fratello, del simile, dell’altro, si origina lì… ma in che senso? Non si tratta, ovviamente, di rimpiangere i bei tempi passati, l’epoca del padre o dell’Ideale, il problema, però, è che se non c’è il padre, che in senso lato rappresenta il limite, l’eccezione che fa la legge, vale a dire un impossibile, quello che resta nel legame sociale, nella società dei fratelli – tutti uguali fra loro – è solo il confronto – sempre difficile – con il corpo dell’altro, e con i suoi diritti, ma soprattutto con la sua particolarità (che Lacan chiamava godimento), che lo rende diverso da me, ma che non conosco, come pure non conosco la mia. E’ la particolarità dell’altro, del corpo dell’altro, che scatena l’aggressività. Il corpo del singolo, infatti, senza l’operatività di un elemento terzo, l’Altro maiuscolo, incontra il corpo dell’altro solo nella rivalità immaginaria, che è una relazione distruttiva e mortale. D’altro canto, lacan sostiene che ogni comunità umana, ogni civiltà, si è costituita precisamente a partire e sul rifiuto di un godimento inaccettabile, segnato da una proibizione, da cui però può sempre prendere origine una possibile barbarie…

Poesia e psicoanalisi, con modalità e tempi molto diversi, reintroducono l’Altro maiuscolo nella relazione io-altro, rendendo talvolta possibile un rapporto meno violento (non direi più umano, viste le premesse) tra gli esseri umani.