Intervento al Convegno Nazionale della SLP

Intitolato “Carlo Viganò e il decennale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi”

8 giugno 2012.

C. Viganò e il decennale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi

Chiamata a parlare in questa occasione importante, per la Scuola che compie dieci anni, e in memoria di Carlo Viganò, con il quale ho condiviso questi anni di Scuola (e anche qualche anno precedente la sua fondazione), vorrei parlarvi della mia esperienza di lavoro, di con-laborazione con lui. Dal 2007 in poi, ho collaborato con Carlo ad Affori, presso la Psichiatria 4 dell’Ospedale Niguarda di Milano: Carlo mi ha invitata, con altri allievi dell’Istituto freudiano, presenti nella struttura in qualità di tirocinanti, a partecipare ai suoi gruppi di lavoro e ai suoi seminari pubblici incentrati sulla “costruzione del caso clinico”. Nell’ambito di un servizio statale di psicoterapia “pubblica”, offerta a tutti, dove operano giovani psicoterapeuti di formazione diversa, Carlo per anni si è impegnato per creare, e mantenere aperto, uno spazio di riflessione sul caso clinico e sulla sua costruzione (pubblica), orientato dall’insegnamento di Jacques Lacan e di J.-A. Miller. In questa sede ha quindi organizzato un piccolo gruppo simil-cartello, per discutere à plusieurs sulla costruzione del caso clinico, a partire dall’esperienza di alcune cure presentate dai partecipanti e dalla lettura di testi di Lacan e Miller. Più in estensione, ha anche organizzato un ciclo di tavole rotonde/conversazioni su argomenti dal respiro più teorico, tipo l’ultimo del 2011-2012 intitolato “La cura, l’arte e il corpo”. Il tutto, sempre, a partire dall’esperienza di un caso clinico, che veniva interrogato e discusso in pubblico (alcuni di questi casi si trovano sul sito forumpsy, che aveva creato con dei colleghi). In questo ambito Carlo mi ha invitata a lavorare con lui: mi ha chiesto, come ad altri allievi dell’Istituto e ad altri colleghi, di presentare un caso clinico “trattato in istituzione”, sul quale abbiamo discusso, discutants e pubblico presente in sala. In questo senso, possiamo affermare che Carlo ci ha dato un esempio di impegno continuo, e sempre innovativo, per la trasmissione della psicoanalisi lacaniana all’esterno, in estensione, a partire dall’esperienza e dal reale che il “caso clinico” pone al giovane in formazione, e non solo. È un esempio di impegno, da intendersi nel senso del “desiderio deciso”, di un membro di una Scuola di psicoanalisi, nello specifico la SLP, sotto la cui egida Carlo ha sempre lavorato.

In tutti gli anni che abbiamo condiviso ad Affori, Carlo ha raggruppato attorno a sé molti operatori psi interessati a riflettere sull’esperienza dell’analisi, o comunque della cura. Molti di questi colleghi hanno cominciato a leggere i testi di Lacan, anche perché Carlo si è sempre esposto, in prima persona, per far passare nell’Altro sociale la sua riflessione, sempre personale, e le interrogazioni che la cura di un individuo apre, o che comunque mette in moto, orientato dall’insegnamento di Jacques Lacan e ispirandosi a molti altri saperi, dalla matematica alla topologia, all’arte, oltre al suo sapere psichiatrico. Ammetto che, talvolta, non riuscivo a seguire bene i suoi ragionamenti complessi e un po’ ritorti – mi capitava di perdermi nei meandri delle sue topologie!!; di fatto Carlo si è distinto nel suo tentativo di parlare anche “la lingua dell’Altro”, contro la langue de bois di una psicoanalisi chiusa su stessa, e ha dialogato con psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana, con terapeuti di varia formazione e con molte figure della cultura milanese. Sapeva parlare la lingua dell’Altro ma, al contempo, non perdeva, per così dire, la bussola della psicoanalisi… Ed è in questa direzione che Carlo, ad esempio, ha organizzato, contro la diffusione dell’approccio scientista, con alcuni allievi dell’Istituto, un gruppo di lavoro volto ala produzione di una matematizzazione dei casi clinici, usando i matemi di Lacan, per sostenere una “logica del caso” che tenga in conto l’aspetto qualitativo, particolare, del caso per caso. Purtroppo, non ha potuto portare avanti questa sua elaborazione… ma ha lasciato una strada aperta, una strada di ricerca….per chi la vuole imboccare… 

Quello che vorrei sottolineare, in questa sede, quindi, è la centralità della clinica nel corso del suo insegnamento: la clinica è il filo conduttore, il minimo comun denominatore, dell’impegno di trasmissione che Carlo ha realizzato, in tutti questi anni, come membro, AME della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi nella cité... La clinica come esperienza, pratica di “analisi”, di cura in senso lato, che produce un sapere che, per quanto strutturalmente bucato, è comunque un sapere – à une autre place, come dice Lacan – di cui, in quanto psicoanalisti, dovremmo poter rendere conto, logicamente, in pubblico. Nel suo testo “Psichiatria non psichiatria” Carlo scrive:

“L’utilità pubblica della psicoanalisi va dimostrata attraverso la sua capacità di promuovere la clinica come ambito della ricerca scientifica, più precisamente della ricerca sul soggetto nell’era della scientificità” (p. 306).
C. Viganò

Possiamo condividere, oppure no, questa sua pro-posizione ma, in ogni caso, essa ci interroga sul senso che noi diamo, uno per uno, all’azione lacaniana di una Scuola di psicoanalisi oggi. In Francia la psicoanalisi – lacaniana e non solo – sta subendo un attacco violento proprio sul fronte della clinica, la clinica dell’autismo nello specifico (“la pertinenza degli approcci psicoanalitici non è dimostrata”, dice la HAS – Haute Autorité de Santé ), negli altri paesi d’Europa non soffia certo un buon vento, e in Italia? In Italia gli attacchi, apparentemente più temperati, riguardano sempre il tipo di cure offerto all’autismo: l’Istituto Superiore di Sanità ha infatti proposto l’approccio ABA – cognitivo comportamentale – come unico metodo scientifico per la presa in carico dell’autismo. A partire da un metodo cosiddetto “scientifico”, la validità degli altri approcci di cura viene messa in discussione, addirittura annullata, in nome di un ideale della scienza che, come sappiamo dall’esperienza della nostra pratica, forclude il soggetto. Da qui le azioni mese in atto contro l’apertura di uno spazio per il soggetto in quanto tale, che si tratti dell’autismo o del bambino… É importante che la Scuola si impegni a mostrare in pubblico cosa significa per noi essere “lacaniani” oggi, a partire dall’esperienza della nostra pratica. Può essere interessante ed utile discutere con filosofi e altri intellettuali, ma in questo momento storico, l’inizio del XXI secolo, gli analisti sono convocati anzitutto a rispondere della loro clinica, a renderne conto in pubblico, in modo comprensibile e chiaro. All’ECF da anni i colleghi francesi si sono impegnati a rendere più accessibile al “grande pubblico” il sapere prodotto nelle cure. E ci sono riusciti molto bene, se pensiamo agli articoli di Lacan Quotidien. Ora tocca a noi…

Come nella testimonianza di passe, si tratta, a mio avviso, di scommettere su una trasmissione della psicoanalisi che parta dalla clinica, per costruire un’elaborazione di sapere, che abbia, di conseguenza, delle incidenze anche politiche.