“Fare a meno del padre”

in Cinema e psicoanalisi, n. 20, Aracne Editrice, Roma, settembre 2014

Fare a meno del padre

Nella clinica in “istituzione”, ovvero nel mio lavoro come psicoanalista all’interno di un luogo di cure espressamente mediche – che, di per sé, per la centralità accordata necessariamente alla salute del corpo, segue una logica diversa rispetto alla logica della psicoanalisi – si sente spesso parlare del padre, della funzione del padre, della necessità che una figura maschile, se possibile quella del padre, entri in gioco – come limite alla madre e come funzione, come rappresentante della legge – per agevolare il percorso di cura dei pazienti. 

Durante le riunioni cliniche si fa valere la funzione strutturante dell’Edipo, che dell’esperienza psicoanalitica è un punto cardine. 

Ma che cos’è il padre, nel lavoro psicoanalitico con i pazienti?

È proprio il padre reale, quello che c’è nella realtà, o è qualcos’altro?

Freud ha istituito, inventandolo, con l’invenzione della psicoanalisi, l’Edipo, e il complesso d’Edipo. 

In seguito Jacques Lacan, nel suo “ritorno a Freud” e poi anche successivamente, nel corso di tutto il suo insegnamento, ha rielaborato l’Edipo, con Freud e aldilà di Freud. 

Sin dagli albori del suo insegnamento, Lacan parte dalla “carenza del padre”, dal “declino dell’imago paterna”, per interrogare, alla luce dell’Edipo freudiano, la funzione del padre, e il suo impossibile. Già nello scritto “Funzione e campo della parola e del linguaggio”, nel 1953, Lacan segnala che 

“è nel nome del padre che dobbiamo riconoscenre il supporto della funzione simbolica che, dai limiti dei tempi storici identifica la sua persona alla figura della legge. 
Questa concezione ci permette di distinguere chiaramente nell’analisi di un caso gli effetti inconsci di tale funzione rispetto alle relazioni narcisistiche, addirittura     rispetto alle relazioni reali che il soggetto sostiene con l’immagine e l’azione della persona che l’incarna” (nota 1).
J.Lacan

Mentre però Freud è rimasto, nella sua concezione del padre, a una figura del padre idealizzato, il padre che dice di no al godimento, che opera la castrazione, Lacan mette in valore, nella sua lettura dell’Edipo sviluppata sin dal suo Seminario V, piuttosto un altro tipo di padre: il padre che dona e che si oppone al padre proibitore e privatore. 

Questo padre è la condizione che permette che si installi l’Ideale dell’io. 

Ed è anche il padre a fondamento del simbolico, com’è esemplificato – a mo’ di esempio – dalla funzione del Nome-del-Padre nel Witz: la legge paterna accoglie il messaggio che trasgredisce il codice, ammette il neologismo fuori dalla regola. 

La legge del padre non è la regola cieca ed automatica, più tipica del Superio. Ma quella che ammette che ci siano delle eccezioni. 

Il padre del primo Lacan, com’è stato evidenziato dalla lettura di Jacques-Alain Miller, è un “padre che dice di sì”, che accoglie la particolarità dell’altro, e che per questo sostiene il soggetto. 

Sino alla fine degli anni ’50, Lacan ritiene che le funzioni della proibizione siano assunte dal padre simbolico, ovvero dal “padre morto”; la privazione riguarda invece il padre immaginario. 

Mentre la trasmissione dell’ideale, che stabilizza la posizione sessuata, si compie attraverso il padre reale: il padre vivente, quello che dà o che non dà alla madre e al bambino. 

Il padre lacaniano è quindi anzitutto un padre “positivo”, che accoglie e che ratifica la verità del soggetto, all’interno della legge paterna. 

Ma, nella realtà concreta, nella clinica odierna possiamo dire che questo padre esiste?

Nella mia esperienza clinica dentro un servizio ospedaliero che si occupa di pazienti con disturbi alimentari, quelle che vedo sfilare (in absentia e, talvolta, di persona) sono molto spesso figure di padri carenti, talvolta addirittura inesistenti, in ogni caso inappropriate. 

Ricordano per molti aspetti le figure di padre (reale) carente che Lacan ha tratteggiato nella sua “Questione preliminare a ogni trattamento possibile della psicosi”: “il padre tonante, il padre bonaccione, il padre onnipotente, il padre umiliato, il padre impacciato, il padre derisorio, il padre a casa, il padre a zonzo”… (nota 2)

Questa è la forma in cui il padre reale spesso si presenta nella clinica contemporanea.., non perché siamo nell’epoca di Telemaco, ma perché, come la psicoanalisi di Lacan ci insegna, questo è un dato di fatto, è un fatto di struttura – al di là degli “usi e costumi” che ovviamente cambiano in base alle coordinate simboliche e reali del tempo in cui si vive. 

Il padre reale è sempre carente, non corrisponde alla sua funzione (ed è questo che si tratta di accettare), alla funzione del padre che, secondo la lettura lacaniana è molto più complessa e articolata. 

Innanzitutto, in “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio” del 1960, Lacan afferma che 

“l’immagine del Padre ideale è un fantasma di nevrotico. 
Al di là della Madre, Altro reale della domanda di cui si vorrebbe ch’essa calmi il desiderio (vale a dire il suo desiderio), si profila l’immagine di un padre che     chiuderebbe gli occhi sui desideri. 
In tale modo è più sottolineata, oltre che rivelata la vera funzione del padre, che fondamentalmente è di unire (e non di opporre) un desiderio alla Legge”. 

“Il padre desiderato del nevrotico – scrive ancora Lacan – è chiaramente – si vede – il Padre morto. Ma anche un Padre che sarebbe perfettamente padrone del suo     desiderio, il che varrebbe egualmente per il soggetto”. (nota 3)
J.Lacan

La vera funzione del Padre è quella di unire (e non di opporre) un desiderio alla Legge, vale a dire unire l’Un-desiderio, la particolarità dell’Uno, in qualche modo alla legge, cioè alla struttura. Ed è anche in questo senso che può essere letto, interpretato, il concetto – molto più tardivo nell’insegnamento di Lacan – ovvero quello di “père-versione”. 

Nel Seminario XXIII, dedicato al grande scrittore irlandese James Joyce, del 1976, Lacan lavora su quello  che fa tenere insieme il nodo borromeo – un nodo a tre anelli che ha la particolarità di sciogliersi quando uno solo dei suoi tre anelli si rompe. È un modo, per Lacan, per rappresentare l’essere parlante, considerato come un nodo fatto di simbolico, di immaginario e di reale, che così tiene insieme. 

Come già anticipato in “Sovversione del soggetto”, Lacan qui sostiene che 

“la père-versione è la sanzione del fatto che Freud fa tenere tutto sulla funzione del padre. E il nodo bo è questo (…) la traduzione del fatto che (…) l’amore che si può     qualificare come eterno si rivolge al padre, in nome del fatto che è portatore della castrazione” (nota 4).
J.Lacan

E continua dicendo: 

“La legge di cui si tratta, in tale occasione, è semplicemente la legge dell’amore, vale a dire della père-versione”
J.Lacan

che, ancora una volta, sta ad indicare il rapporto tra un desiderio, sempre particolare, e la Legge.

1. Funzioni del Nome-del-Padre

Lacan, quindi, parla del padre reale – colui che interviene concretamente in quanto dà o non dà alla madre –, del padre immaginario – quello che ci si rappresenta, il padre spaventoso o onnipotente, che produce aggressività e un’identificazione immaginaria – e del padre simbolico, che non si trova da nessuna parte in quanto corrisponde piuttosto alla sua funzione. 

Nella storia della psicoanalisi, Lacan è noto soprattutto per aver elaborato il concetto di Nome-del-Padre, che si ispira all’Edipo freudiano, e alla sua funzione simbolica, generatrice e strutturante, ma che va anche al di là di esso. 

Il Nome-del-Padre è la legge che governa le operazioni di sostituzione metaforica e di scivolamento metonimico che strutturano l’inconscio stesso. 

Ne la “Questione preliminare a ogni trattamento possibile della psicosi”, Lacan afferma infatti che

“il Nome-del-Padre raddoppia al posto dell’Altro il significante stesso del ternario     simbolico in quanto costituisce la legge del significante” (nota 5).
J.Lacan

Il Nome-del-Padre, come indica anche Jacques-Alain Miller, “è il punto di capitone nell’ordine simbolico e nella misura in cui opera la metafora detta paterna è il significante che arresta lo slittamento della significazione”. 

In questo senso offre al soggetto una certa stabilità, stabilizzando il senso. 

Poiché il Nome-del-Padre è in posizione di rappresentare il significante della legge, è molto importante, aggiunge ancora Lacan, la considerazione che la madre attribuisce alla sua parola, alla parola di Un-padre, alla sua  “autorità, in altri termini (…al) posto che lei riserva al Nome-del-Padre nella promozione della legge” (nota 6).  

Poiché, però e inoltre, ogni padre reale è carente rispetto alla funzione, ciò che conta è anche che la madre, con i suoi detti, istituisca, sostenga il Nome-del-Padre – uno qualsiasi, in un certo senso – in quanto funzione della legge. 

Il Nome-del-Padre viene definito da Lacan anche come la metafora paterna, la “metafora” che sostituendosi all’enigmaticità del desiderio della madre – punto cieco della relazione duale – permette la significazione, ovvero il più di senso, che è la produzione specifica di ogni metafora. 

Il Nome-del-Padre, secondo Lacan è il punto di capitone che fa tenere insieme la realtà, che permette l’esistenza di un immaginario e, di conseguenza, di un simbolico…

Sempre nel suo testo dedicato alle psicosi, Lacan parla anche di quello che succede quando il Nome-del-Padre non è operativo, quando vi è la cosiddetta Verwerfung, ovvero la forclusione del significante che istituisce l’Altro del linguaggio, la sua mancanza o, per meglio dire, la sua non iscrizione nell’Altro. Il che ha importanti effetti a livello della posizione soggettiva. 

“Al punto in cui” – scrive Lacan – “è chiamato il Nome-del-Padre, può quindi rispondere nell’Altro un puro e semplice buco, il quale per la carenza dell’effetto     metaforico provocherà un buco corrispondente nel posto della significazione fallica” (nota 7).
J.Lacan 

Ciò significa che l’effetto primo della forclusione del Nome-del-Padre – in determinate condizioni e a causa di una carenza a livello della metafora, ovvero a livello della creazione di senso – è quello di provocare un buco laddove dovrebbe stare la significazione fallica, da intendersi come il prodotto della metafora paterna quando essa funziona. 

Si apre un buco fuori senso, che la significazione fallica, ovvero il senso, non riesce a saturare completamente. 

E spesso nella clinica si può reperire questo momento di fuori-senso, di perplessità rispetto alla realtà o di fronte a un evento di essa, che corrisponde al momento dello scatenamento psicotico. 

La forclusione del Nome-del-Padre, e in seguito lo scatenamento psicotico, si può vedere bene nel film di Marco Bellocchio, Vincere, dedicato a Mussolini e alla coppia moglie-figlio che ha rinnegato e addirittura fatto rinchiudere in manicomio. 

Al di là della figura della moglie, molto problematica e su cui non mi soffermo, viene mostrato lo scatenamento psicotico del figlio, di Benito Albino Dalser, che delira ripetendo lo stile di Mussolini – oratore e Capo di Stato, l’unico che ha conosciuto, ascoltandolo durante i comizi o alla radio. 

Nel film emerge molto bene la figura di un padre che incarna la legge ma che non esiste a livello di un desiderio non anonimo nei confronti del figlio, se non quello di rinchiuderlo…

E quando Benito Albino è ricoverato in manicomio e delira, quello che esce come delirio è la voce del padre… 

Poiché il Nome-del-Padre per Benito Albino è forcluso, un evento qualsiasi di vita (che il film però ci lascia solo intuire) ha provocato il suo scompenso e il suo crollo nella follia. 

Anche in questo caso, come indica Lacan, possiamo supporre la forclusione del Nome-del-Padre solo perché c’è stato lo scatenamento, solo a posteriori: qualcosa si è rotto e non è stato possibile nessun rattoppo, nulla che permettesse una nuova stabilità a lui e al mondo.

2. Fare a meno del padre

Nel 1963 Lacan, però, continua la sua elaborazione del Nome-del-Padre e, durante la sua unica lezione del Seminario che J.-A. Miller ha chiamato il “Seminario inesistente” – perché si è interrotto subito dopo la prima lezione – comincia a pluralizzare il Nome-del-Padre: diversi elementi possono svolgere la funzione di Nome-del-Padre, più elementi possono dare stabilità, ed è per questo che, munito di corde e degli strumenti della logica matematica, Lacan comincia a dedicare il proprio insegnamento alle questioni relative al nodo. 

Il 13 aprile del 1976, durante il Seminario dedicato a Joyce, Lacan afferma: 

“L’ipotesi dell’inconscio, Freud lo sottolinea, può tenere solo se si suppone il Nome-del-Padre. Supporre il Nome-del-Padre, certo è Dio. In questo la psicoanalisi, poiché riesce, prova che del Nome-del-Padre, se ne può anche fare a meno. Si può farne a meno, a condizione di servirsene” (nota 8).
J.Lacan

Benchè la psicoanalisi si fondi, nella sua pratica, sulla supposizione di un senso possibile – quello che l’analizzante costruisce in seduta, con il nostro aiuto, nel corso della cura – è importante che chi opera sappia fare a meno del padre, che non ci creda troppo, e soprattutto che non si creda tale. Resta necessario, invece, servirsi del Nome-del-Padre come di un operatore logico, che permette di leggere il caso e che agisce all’interno della cura stessa. 

Il Nome-del-Padre è l’elemento terzo che permette di dare senso, che permette una costruzione, anche minima. 

È il quarto anello, che permette al nodo a tre anelli di non sciogliersi, l’anello – dice Lacan – della nominazione. 

In questo senso il sintomo – che in greco significa “cadere insieme” – ha la stessa funzione del Nome-del-Padre

Che cosa resta, quindi, del Nome-del-Padre?

Non è altro che un sintomo, una nominazione simbolica, che fa tenere insieme l’essere parlante – nel suo essere corpo immerso e impregnato dal linguaggio. 

Nel corso del suo insegnamento, Lacan ha dato diverse definizioni di come dovrebbe essere un padre: dal padre come significante-padrone nella metafora paterna, al padre come modello di una funzione, sino al padre ridotto, per così dire, alla sua funzione minima di sintomo. 

Lacan, inoltre, ha dato via via sempre più spazio e valore al desiderio, al godimento e al sintomo nella funzione paterna.  

In questo senso, nel Seminario RSI, nella lezione del 21 gennaio 1975, Lacan dirà che la funzione del padre

“è la funzione di sintomo (…) basta che sia un modello della funzione (…) Non importa che abbia dei sintomi, se vi aggiunge quello della père-versione paterna, vale a dire che la (sua) causa ne sia una donna, che l’abbia acquisita perché gli faccia dei figli, e che di questi, che lo voglia o meno, si prenda cura paterna”.
J.Lacan

È sufficiente, in altri termini, che fra i suoi sintomi vi sia anche la “père-versione” di avere una donna, quella che gli ha dato dei figli, come causa del suo desiderio.

Con le pazienti anoressiche e bulimiche che ascolto in ospedale si tratta di aiutarle a costruirsi un sintomo (analitico), un facente-funzione di padre, che possa funzionare da Nome-del-Padre, o padre-sintomo… perché solo a questa condizione, se ne può fare a meno.   

 

1  J. Lacan, “Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse”. In Ecrits, Seuil, Paris, 1966, p. 278.
2  J. Lacan, “D’une question préliminaire à tout traitement possible de la psychose”, in Ecrits, op. cit., p. 578.
3  J. Lacan, “Subversion du sujet et dialectique du désir”, in Ecrits, op. cit., p. 824.
4  J. Lacan, Le Séminaire. Livre XXIII. Le Sinthome, Seuil, paris, 2005, p. 150.
5  J. Lacan, “D’une question préliminaire à tout traitement possible de la psychose”, op. cit., p. 578.
6  Ivi, p. 579.
7  Ivi, p. 558.
8  J. Lacan, Le Séminaire. Livre XXIII, Le Sinthome, op. cit., p. 136.