Contro la pulsione di morte – Bellezza & Mito, Poetiche e Politiche del desiderio

Intervento al Convegno Mitomodernista

Teatro Filodrammatici, Milano, 20.4.2016.

Per la psicoanalisi, e anche per una certa tradizione etica, il desiderio è il miglior limite contro la pulsione di morte. L’esperienza di un’analisi, infatti, dovrebbe permettere a chi la intraprende di staccarsi o comunque di “saperci fare” meglio con il proprio godimento – che è il termine che Jacques Lacan ha utilizzato per parlare della pulsione di morte - che è lo specifico dell’essere umano in quanto essere parlante e che, di fatto, si realizza nei sintomi e nella loro ripetizione. Solo grazie al dire in analisi si può, infatti, aprire, col tempo, lo spazio necessario affinché il desiderio sia possibile. 

Da quando è stata inventata la psicoanalisi, però, molte cose sono cambiate: il mercato globale ha preso il sopravvento sugli ideali della famiglia, della patria, del popolo, ecc.; quello che all’epoca era un tabù, la sessualità, si è liberato da ogni inibizione e anzi oggi si assiste a una spinta-al-godimento senza limiti; le gerarchie sociali sono state stravolte e tutto quello che, nel secolo scorso, aveva ancora autorevolezza – università, potere, ecc.. – ora si ritrova banalizzato se non addirittura ridicolizzato... Benissimo! Direte voi.. è il presente, è la democrazia che avanza e che cambia... non abbiamo di certo bisogno di ideali obsoleti...... eppure... già nel 1960, Lacan segnalava che, dal punto di vista della psicoanalisi, il progresso della civiltà è qualcosa di alquanto problematico. 

La caduta degli ideali, che può essere riassunta nella formula “Dio è morto”, non significa maggiore libertà e più desiderio per gli esseri umani. Al contrario, come diceva Lacan, “Dio è morto, niente più è permesso”... anzi “tutto diventa necessario” poiché non c’è più limite alla voracità dell’imperativo superegoico che si esprime attraverso la pulsione di morte. Questo significa anche che al desiderio, soggettivo e spesso problematico, ormai si è sostituito un dovere, il dover essere.... quello che il mercato vuole. Nel 1972, proprio qui a Milano, Lacan ha parlato del capitalismo e dei suoi effetti sulla società. Il capitalismo, diceva Lacan, rigetta la castrazione fuori dal simbolico e mette da parte le cose dell’amore. Esso è “follemente astuto” in quanto, eliminando l’impossibile – che è proprio di ogni discorso – va a gonfie vele, ma per l’appunto, va troppo in fretta e quindi “si consuma”, nel senso dei consumatori che consumano e al tempo stesso si consumano. Il capitalismo selvaggio e la tecno-scienza, nella loro spinta al consumo e al controllo dell’umano, vogliono farci credere che l’impossibile non esiste, vorrebbero sradicarlo dall’umano... e purtroppo gli effetti sintomatici, a livello soggettivo, sono spesso dell’ordine della dipendenza, dell’impotenza e dell’inibizione. “Tutto è possibile” ci dice la pubblicità, come pure la scienza, e chi non ci riesce si ritrova in uno stato di impotenza, inibito o incapace di sottrarsi a sostanze o pratiche che gliene forniscono l’illusione. 

l lavoro in analisi spesso oggi consiste nell’aiutare i pazienti ad accogliere l’impossibile, per ognuno diverso, e che Lacan ha definito con la sua formula “non esiste rapporto sessuale”, per potere poi aprire lo spazio al desiderio. In questo, mi pare, la psicoanalisi e la poesia – che ha come suo impossibile la Bellezza e il Mito – combattono la stessa battaglia in difesa dell’umano. Pur avendo finalità assolutamente diverse, sia la psicoanalisi che la poesia si servono delle parole per creare, a partire da un punto limite (la Bellezza in quanto “ciò che manca al mondo” e il Mito come alterità assoluta), lo spazio bianco necessario perché vi sia desiderio. Il tutto non senza amore, amore delle parole, della lingua di cui siamo impregnati, e per l’altro.