Alban Berg, lirismo e dodecafonia. Il Concerto in memoria di un angelo, di Serge Cottet

Il Concerto per violino, scritto nel 1935, è l’ultima opera di Berg. È stato considerato come il suo testamento musicale a causa delle circostanze che presiedettero alla sua creazione: la morte della giovane Manon Gropius, a diciassette anni, figlia di Alma Mahler. La sua atmosfera funebre con i riferimenti espliciti di Berg alla morte nello spartito stesso sembrano confermare questo giudizio. Tuttavia, i biografi ci dicono che Berg non era particolarmente legato a questa ragazza. Se si cerca l’espressione dei sentimenti privati dell’autore, è piuttosto la sua passione ostacolata per la sua amante (di un giorno… sembra, ma Musa per tutta la vita) Hanna Fuchs che domina l’opera. La morte di Manon vela un lutto più intimo, come una sublimazione melanconica della rinuncia.

Il musicologo Alain Galliari (1) smonta la leggenda secondo cui Berg ha avuto la premonizione della propria morte componendo il Concerto. Quest’opera tragica non è tuttavia il suo requiem, anche se Berg è morto circa un anno dopo, sempre nel 1935 (accidentalmente, per una puntura d’insetto). Di fatto, si proietta su Berg la leggenda del requiem di Mozart.

L’opera fu scritta con un entusiasmo e una rapidità inattesi, dato che Berg interruppe la composizione di Lulu per precipitarsi su questo spartito, ordinato dal violinista americano Louis Krasner. Quest’ultimo la suonò in prima audizione a Barcellona, il 13 aprile 1936, dopo la morte di Berg all’inizio della guerra civile, con la direzione di Hermann Scherchen, poi a Londra, il 1° maggio 1936, diretto da Anton Webern. Su youtube esiste la sua registrazione: un’interpretazione commovente suonata molto lentamente in un fraseggio romantico, con l’orchestra che domina nettamente il solista, sicuramente paralizzato dalla performance.

Berg, a quanto pare, conservò quel buon umore, dopo aver terminato l’opera. Nel frattempo, la sinfonia di Lulu fu suonata a Praga con successo (mentre era proibita a Karlsbad dai nazisti).

Il Concerto, opera popolare, benché assolutamente seriale, serve da paradigma per valutare la libertà che Berg si è preso per affrancarsi, talvolta, dalla regola dodecafonica. Per i puristi, Alban Berg non è un seriale rigoroso: l’opera è ibrida, ora tonale ora atonale, piena di citazioni musicali note e di musiche popolari viennesi. Secondo Pierre Boulez (2), dei resti di cattivo gusto e un preziosismo un po’ insipido caratterizzano questo terzo periodo del musicista. In Lulu stigmatizza un’estetica abbastanza grossolana, una parodia pesante che viene dall’espressionismo tedesco ormai invecchiato, a quell’epoca.

Si può vedere la cosa diversamente: non la regressione al conformismo viennese per rendere l’opera accettabile al pubblico ma, piuttosto, la caricatura di quei cliché, come la fine di un mondo rappresentato dal walzer viennese. Ravel aveva fatto lo stesso ne La Valse, quel “tourbillon fantastico e fatale”, opera scritta durante la grande guerra e suonata nel 1920. In quella stessa data, su invito di Berg e Schönberg, Ravel la suonò a Vienna con il pianista Casela per piano a quattro mani; non si può dire, comunque, che essa abbia influenzato le citazioni viennesi del Concerto.

Gli allievi di Schönberg non avevano intenti rivoluzionari e si iscrivevano naturalmente nella continuità della musica tedesca post-wagneriana, compreso Mahler (si veda l’articolo di P. Benichou). Non hanno subito l’influenza né di Debussy né di Ravel. Piuttosto è avvenuto il contrario: il Pierrot lunaire di Schönberg è del 1912 ed è Stravinsky che l’ha fatto conoscere a Ravel che scrisse, poco tempo dopo, nel 1913, la musica dei Tre poemi di Mallarmé. Anche Debussy viene suonato a Vienna. Del resto, l’atonalità è lontana dall’impressionismo alla francese, considerato ancora come una musica da salotto. Un’idea di questo spostamento è fornita dai riferimenti alla pittura, come testimoniano le affinità del gruppo con l’espressionismo berlinese venuto dal Blaue Reiter: Munch, Otto Dix, Nolde… L’astrazione con la pittura di Kandinsky è esplicitamente rivendicata da Schönberg. Vero è che Berg propende per Klimt, ma l’espressionismo trionfa in Wozzeck e ancora di più in Lulu.

Nel Concerto, il fraseggio molto preciso mantiene la tradizione classica del lirismo al violino. Berg ha cominciato a scrivere per la voce e finisce con un concerto contemporaneo alla sua ultima opera. Altri mezzi molto espressivi contribuiscono a compensare la perdita del codice simbolico, creata dall’atonalità, utilizzando il racconto, addirittura il programma. Gli aggettivi utilizzati nello spartito sono piuttosto espliciti relativamente alle fonti drammatiche della composizione: doloroso, amoroso, religioso. Per alcuni musicologi, il Concerto è attraversato da un testo criptato, vera e propria numerologia, a cui Berg, molto superstizioso, aderiva. Questa credenza, d’altro canto, è l’unico rapporto lontano che Berg intrattiene con la psicoanalisi. In effetti, è stato in contatto con Fliess (il Fliess di Freud) che gli ha trasmesso le sue elucubrazioni sulle cifre e sulle lettere, in particolare sulla cifra 23, che in Berg cristallizza un nodo di significazioni private.

Marie Faucher, invitata dal nostro cartello, e che ha fatto una tesi su Alban Berg, ci ha confermato che molti dettagli del romanzo sentimentale del musicista sono segnalati da degli intervalli di note ripetitivi che sovrastano la scrittura seriale. Altri musicologi ritengono di leggere, come fossero dei messaggi subliminali, diversi passaggi legati al ricordo di Hanna Fuchs. Alain Galliari riprende senza critica l’esegesi occulta di Douglas Jarman (3) che fa del Concerto una musica a programma in cui si confessa l’inconscio cifrato di Alban Berg. È stato fatto un uso e un abuso di questi riferimenti come di una codifica labirintica per stabilire relazioni termine a termine tra episodio biografico e spartito, talvolta giungendo sino al dettaglio ridicolo come l’attribuzione del nome dell’amata a tale o tal’altra nota: la cifra 23 per Berg e il 10 per Hanna. O l’interpretazione di intervalli ricorrenti: per Hanna Fuchs (H F: si fa) e per Berg (A B: la si), dato che le note in tedesco si scrivono utilizzando le prime sette lettere dell’alfabeto.

Tali speculazioni mostrano sino a che punto i musicologi abbiano bisogno di riempire di senso una musica che procede alla dissoluzione dell’ordine armonico, che è il codice simbolico spontaneo del pubblico.

In compenso, la fusione del moderno e del barocco, dell’atonale e del tonale è assolutamente esplicitata nel Concerto: cominciando con il ciclo delle quinte, atonale (prime misure del violino) l’opera termina con l’utilizzo della cantata di Bach Es ist genug (“È quanto basta”), le cui quattro prime note in gamma per tono sono le ultime della serie utilizzata nel Concerto (si, do diesis, mi bemolle, fa). Questa sintesi si realizza anche con la musica popolare, come nell’opera Wozzeck; nel Concerto è il folklore della Carinzia che introduce dei tagli nel discorso seriale….

Da ultimo, Berg evidenzia i passaggi più tesi del Concerto segnalandoli con la scrittura: per esempio, Hochpunkt della misura 325 (punto culminante). Si pensi alla nota “si” naturale in Wozzeck, amplificata dall’orchestra nel momento dell’uccisione di Maria in un mostruoso allargamento.

Il nostro oggetto non è l’analisi dell’opera dal punto di vista della scrittura musicale, che è una faccenda di specialisti. Poniamo piuttosto questa domanda: un’opera seriale può arrivare al pubblico solo a condizione di un compromesso con una certa tradizione tonale, un pastiche dell’antico, un ricorso al lirismo tradizionale dei concerti, in cui ci vuole il violino nella Germania del XIX secolo? La stessa domanda è stata posta per Lulu. Si penserà che l’espressionismo tardivo dell’opera supplisca alla radiazione del codice armonico attraverso una parodia pesante (ancora Boulez) e grandguignolesca di drammi sordidi. Pur tuttavia la dodecafonia sta a pennello alla perdita di senso e di riferimenti simbolici degli anni ’20 come pure allo smarrimento del godimento di quell’epoca. Un Webern, benché sedotto da Egon Schiele, ma austero e pudico, renderà il serialismo vergine di ogni effusione folkloristica. La generazione successiva, convertita al serialismo integrale, ha compreso bene tutto questo: Cage, Berio, Stockhausen, Boulez, i più radicali degli anni ’50 si sono completamente affrancati dai cliché della musica popolare; così si può porre il problema della diffusione della loro opera.

L’articolo è stato pubblicato su l’HebdoBlog http://www.hebdo-blog.fr/category/hebdo-blog-39 dove si trova anche l’articolo di Ph. Benichou citato dall’autore.

 

Traduzione: Adele Succetti

  1. Cfr. A. Galliari, Concerto à la mémoire d’un ange – Alban Berg 1935, Fayard, Paris 2013.
  2. Cfr. P. Boulez, Relevés d’apprenti, Seuil, Paris, 1966, p. 311 e p. 325.
  3. D. Jarman, Alban Berg, Wilhelm Fliess and the Secret Programme do the Violin Concerto, The International Alban Berg Society, n. 12, 1982.