A proposito di “Schizografia” – la psicosi e la lingua*, Serge Cottet

A proposito di “Schizografia” – la psicosi e la lingua*

Serge Cottet

L’articolo di Jacques Lacan del 1931 “Schizographie” (1) inaugura un’antologia di casi clinici in cui la posta in gioco è lo scritto psicotico.

L’affinità della psicosi con i disturbi del linguaggio, nel testo in oggetto, è portata al massimo. Le stranezze della scrittura non sono, infatti, soltanto il criterio diagnostico – come sappiamo già con Bleuler e Guiraud – ma, in questo caso, anche materia essenziale del delirio, in particolare paranoide. Tutti i temi deliranti della paziente, più o meno imparentati con la grandezza e con la persecuzione, infiltrano i suoi scritti e rendono conto della maggior parte delle caratteristiche di quella che è una lingua privata.

Questa focalizzazione sullo scritto dà all’articolo un aspetto ibrido e spostato nel tempo: al contempo in anticipo e in ritardo. In anticipo: lo scritto anticipa le analisi consacrate alla lingua di Schreber e di Joyce. In ritardo: Lacan utilizza dei concetti presi in prestito da una psicologia obsoleta – quella di Delacroix – necessariamente pre-saussuriani. Un vocabolario mutuato direttamente dai meccanicisti e da De Clérambault si ritrova in mezzo a intuizioni derivate da Henri Claude e da Karl Jaspers.

Ne risulta un divario tra la descrizione classica dei disturbi psichiatrici – quali il “contatto affettivo incompleto”, la “resistenza all’autorità”, la “stenia passionale”, il “comportamento scandalistico” – da un lato e, dall’altro, l’attenzione molto minuziosa rivolta alla struttura degli enunciati. La paziente, Marcelle, dà un tono molto personale alla sua persecuzione con uno stile rivendicativo che ben si accorda all’attualità odierna. Dopo essere stata internata, ad esempio, la malata reclama venti milioni: dodici per privazione intellettuale e otto per privazione di soddisfazioni sessuali. È una valutazione quantitativa del deficit che assume un rilievo particolare alla luce delle terapie cognitivo-comportamentali.

Descrizione del sintomo

Lacan si dedica dapprima alla descrizione fenomenologica del fenomeno elementare: l’ispirazione. Con grande cura e precisione estrae le caratteristiche dell’ispirazione, di cui Marcelle fa l’esperienza, rispetto a una serie di sintomi ben descritti nei classici e già repertoriati quali l’eco del pensiero, la sindrome d’influenza e l’allucinazione uditiva che specificano la struttura schizoide. Più che d’influenza, in questo caso, si tratta d’imposizione. L’atto di scrivere le è certamente imposto, “secondo una modalità già formulata”, anche se non si tratta di parole imposte e ancor meno di allucinazioni motorie verbali. Lacan precisa anche il carattere non-sensoriale del fenomeno: non si tratta né di voci né di eco del pensiero, ma piuttosto di mentismo notturno, di allucinazione psichica.

É come se Lacan evitasse di confondere il fenomeno con le forme dell’automatismo mentale vero e proprio e del dogma meccanicista. Cerca di stabilire l’anzianità del delirio rispetto al fenomeno elementare invece di fare di quest’ultimo una sovrastruttura, pratica in un certo qual modo contraria alla descrizione di De Clérambault: il sentimento d’influenza non mette in evidenza nessuna persecuzione, piuttosto è la signorina G. che incarna la sua persecutrice. (2) L’Altro che ispira gli scritti si manifesta alla paziente con affinità psichiche, intuizioni, rivelazioni, di modo che questo Altro è supposto sapere il valore dei suoi scritti. In essi, la personalità paranoica si rivela nella forma di un delirio polimorfo preceduto da relazioni familiari e soprattutto professionali contrassegnate dalla rivolta, dall’isolamento e dall’instabilità.

Altre caratteristiche del fenomeno dell’ispirazione confermano la causalità psichica che lo produce. Lacan nota che lo sdoppiamento del soggetto evolve manifestandosi con degli accessi, il che lascia intendere che può variare d’intensità secondo le circostanze. Soprattutto quest’ultimo si manifesta solo quando la persona è da sola mentre, quando è in presenza del medico, scrive una lettera normale sotto dettatura senza essere ispirata. (3) In questo senso, la domanda dell’Altro reale fa mediazione simbolica rispetto al parassitaggio.

È soprattutto l’aspetto inventivo e creativo degli scritti che Lacan indaga, come se aderisse a una formula della paziente che orienterà per sempre la curiosità del giovane clinico: “Faccio evolvere la lingua”. (4) Lacan, in effetti, procederà a un’analisi estremamente precisa dei disturbi del linguaggio di Marcelle, con una finezza da grammatico, attitudine rara all’epoca e riservata ai giochi verbali degli schizofrenici, e per questo citerà Guiraud ne “Le forme verbali dell’interpretazione delirante” (5) del 1921. L’elucubrazione sulla lingua di Marcelle, la lalingua che lei crea, suscita un’attenzione, un gusto del dettaglio che, sino ad allora, erano riservati piuttosto alla decifrazione di Mallarmé.

Lacan fa corrispondere termine a termine le funzioni del linguaggio e i disturbi psichiatrici repertoriati. Pensiamo alle due forme di afasia distinte da Jakobson secondo i disturbi della similarità o quelli della continguità (metafora e metonimia). Qui Lacan classifica i disturbi del linguaggio in quattro categorie, distinte dalla filologia dell’epoca, che farà corrispondere a quattro manifestazioni del delirio, ovvero i disturbi verbali, nominali, grammaticali e semantici. Possiamo facilmente ridurre le quattro funzioni a due, vale a dire esattamente al binario significante-significato.

Cominciando con i disturbi verbali, Lacan mette in funzione quelli che lui chiama i disturbi formali della parola parlata o scritta. Vi riconosciamo la materia fonica del puro significante, l’attenzione rivolta alle omofonie. Per esempio, la paziente può scrivere in modi diversi il fonema “las” (stanco): “l’âme est lasse” (l’anima è stanca) oppure “la melasse” (la melassa, il pasticcio). Trascrizione scritta di parole imposte. Si pensi a Joyce e agli equivoci ridotti a una “torsione di voce” quale “sporco assassinato politico” che si trasforma in “sporco assistentato politico”. (6)

Notiamo l’interesse di Lacan per le “elisioni sillabiche” (7) – per esempio “curatore” al posto di “procuratore” – imputabili non agli sbarramenti schizofrenici ma all’interpretazione delirante che ne dà lei. Anche in questo caso, il disturbo è considerato come una creazione e non come un deficit – si pensi all’attenzione che Lacan rivolge ai verbi difettivi utilizzati dal presidente Schreber.

Poi ci sono i disturbi nominali. In questo caso, è piuttosto il registro della significazione ad essere interessato: neologismi e significazione personale. Lacan non dimentica di sottolineare l’aspetto inventivo delle creazioni verbali, favorite da influenze locali o familiari, nell’uso di certe parole di origine dialettale quali, ad esempio, “nèche” o “tougnate”. Più personale è il neologismo “mairir”, condensazione di “mairie” (municipio) e “marier” (sposare).

I disturbi grammaticali mettono in funzione delle sostituzioni di frasi a dei sostantivi oppure il rovescio, secondo un uso olofrasizzato della lingua. Si osservano anche scivolamenti metonimici animati dal puro automaton significante, prossimo allo sviluppo maniacale. (8)

Da ultimo i disturbi semantici sono segnalati in modo tale che l’incoerenza apparente del senso trova la sua ragione logica nelle inversioni; per esempio, “ho subito il giogo della difesa” dice la paziente, invece dell’“oppressione”, o anche “siete atterriti perché vi odio al punto che vi vorrei tutti salvati”. Lacan rende conto della sostituzione degli antonimi con “l’ambivalenza affettiva”. In quest’ultimo esempio riconosciamo la formulazione “Ich liebe ihn”, isolata da Freud, impossibile da soggettivare. In seguito, nel suo Seminario su Le psicosi, Lacan tornerà su questo procedimento: una parola sta al posto di un’altra, (9) processo che mutua da Tardieu. Ben diverso dalla metafora, si tratta di un trasferimento di significato.

Questa prevalenza del significante fuori senso, questa “fuga del senso” secondo l’espressione di Jacques-Alain Miller, (10) è puro godimento della sostanza di linguaggio, scarto, “alluvione del linguaggio”, (11) come dice Lacan in “Radiofonia”. La paziente non ha uguali quando introduce una “stecca” nel significato. La sua lingua si singolarizza anche nell’uso dell’esametro, del ritmo, dei costrutti sentenziosi che caratterizzano la sua stereotipia. Analogamente, il primato del sonoro e della melodia sulla canzone mette in valore il godimento proprio dell’invenzione della lingua.

Oggi siamo sensibili all’utilizzo dei nomi propri (12) realizzato dalla paziente. I tratti d’ironia e di derisione colpiscono le figure di autorità a cui la malata si rivolge: “Signor Presidente della Repubblica P. Doumer in villegiaturando”. Rivaleggia per ironia con “Sua Maestà il principe dell’ironia francese”. Si trova anche “Signor Mericano dell’ugello e del pretorio”. La lista è lunga e conferma la sua perfetta incredulità nell’Altro.

L’automatismo degli anni ‘30

Lacan subisce certamente l’influenza del dogma dell’automatismo mentale – pur mantenendo le distanze rispetto a De Clérambault – ma al contempo quella del surrealismo. Da questo deriva l’equivoco del termine “automatico”.

Nel primo surrealismo degli anni venti-trenta, l’interesse per la lingua è evidente. Seguendo i dadaisti, si applicano alla lingua stessa le tecniche del collage, vale a dire le giustapposizioni insolite di immagini. L’“immagine verbale” ottiene un’autonomia assoluta nella scrittura automatica. Secondo André Breton, Robert Desnos è il pioniere di questa scrittura; ha fatto la prova che i giochi verbali generano da soli la poesia senza essere stati preceduti dal pensiero. In R. Desnos, un misto di automatismo e di intenzione sfocia in “giochi di parole dal rigore matematico”. (13) Lacan, negli scritti di Marcelle, rileva la parte d’intenzione e di automatismo, (14) seguendo il modello dei surrealisti. Prima di lui, in effetti, l’esperienza automatica è stata descritta, come lui dice, “molto scientificamente” da André Breton. (15) Quindi, è sotto gli auspici di questo maestro che Lacan intraprende lo smontaggio rigoroso del testo psicotico. Il riferimento a Corps et Biens (16) di R. Desnos è presente ovunque. Le trovate dell’omonimia, le inversioni sintattiche, i giochi di parole e le contrepèteries dimostrano l’omologia, secondo i surrealisti, del delirio inconscio con la poesia nuova.

Divertiamoci un momento con le contrepèteries di R. Desnos che il suo poema “RRose sélavy” ha reso celebri (“Rose aisseille a vit; Rr’ose, essaie là vit”, “Rosa ascella ha pene; RR’osa, tenta là vive). Troviamo anche: “RRose sélavy propone che la putrefazione delle passioni diventi la nutrizione delle nazioni” (numero 39) e anche “Benjamin Péret non fa mai che un bagno all’anno” (numero 41).

Marcelle non è in debito rispetto al suo sforzo di poesia. Citiamo a caso: “Marcelle senza via di scampo (aux abois) non risponde ai poeti senza fede (sans foi), ma è cento volte (cent fois) più assassino di mille mascalzoni”. (17)

Rispetto ai suoi maestri, Lacan dà prova di una grande audacia e di una grande originalità. In effetti, il sintomo dell’ispirazione è ricollocato a livello delle relazioni tra il pensiero e il linguaggio. In conclusione, Lacan squalifica il fenomeno come xenopatico. Si tratta piuttosto di un fenomeno di misconoscimento, come sancirà nel suo “Discorso sulla causalità psichica” (18), in quanto perturbazione del rapporto tra enunciato ed enunciazione. Di fatto, il fenomeno verbale è una supplenza. È il pensiero che è deficitario: “quando il pensiero è corto e povero, il fenomeno automatico vi supplisce.” (19) La xenopatia deriva da questa supplenza: è quello che viene “provato”, come si dice ora. In altri termini, il pensiero corto è la forclusione.

I presupposti epistemici di Lacan sono quelli della sua tesi: il fenomeno elementare non può essere isolato dal delirio stesso: “è impossibile isolare nella coscienza morbosa il fenomeno elementare, psico-sensoriale o puramente psichico, che sarebbe il nucleo patologico a cui reagirebbe la personalità rimasta normale”. (20)

Nel Seminario Le psicosi, Lacan tornerà sulla struttura del fenomeno elementare in una prospettiva che ristabilisce la sua filiazione con De Clérambault; il fenomeno elementare è quindi disgiunto dalla personalità. Il concetto di personalità viene d’altronde abbandonato. (21) Da ultimo, nel Seminario XXIII Il Sinthomo, le parole imposte hanno un puro statuto di allucinazione che parassita il soggetto: un corpo estraneo, vero e proprio “cancro” (22) verbale. In questa prospettiva, il rapporto tra fenomeno e delirio s’inverte: il delirio stesso ha la medesima struttura del fenomeno elementare, vale a dire struttura di linguaggio.

Traduzione: Adele Succetti

* Testo pronunciato da Serge Cottet durante il Convegno “Il giovane Lacan” tenutosi all’ospedale Val-de-Grâce e organizzato da Guy Briole il 24 settembre 2005. È stato pubblicato di recente in Quarto – Revue de Psychanalyse publiée en Belgique, n. 120, “L’a-neutralité du psychanalyste”, Novembre 2018.

 

1. J. Lacan, “Écrits «inspirés»: Schizographie”, De la psychose paranoïaque dans ses rapports avec la personnalité seguito dai Premiers écrits sur la paranoïa, Seuil, Paris, 1975, pp. 365-382. Pubblicato inizialmente in collaborazione con J. Lévy-Valensi e P. Migault negli Annales médico-psychologiques, n. 5, dicembre 1931, pp. 308-321.

2.  Ivi, p. 366.

  1. Ivi, p. 374.
  2. Ibidem.
  3. P. Guiraud, “Les formes verbales de l’interprétation délirante”, Annales médico-psychologiques, n. 1, 1921, pp. 396-406.
  4. J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo, Astrolabio, Roma, 2006, p. 93.
  5. J. Lacan, “Écrits «inspirés»: Schizographie”, op. cit., p. 376.
  6. Ivi, p. 378.
  7. J, Lacan, Il Seminario, Libro III, Le psicosi, Einaudi, Torino, 1985, p. 255.

      10. J.-A. Miller, “L’orientation lacanienne. La fuite du sens”, 1995-1996, inedito.

  1. J. Lacan, “Radiofonia”, in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 415.
  2. J. Lacan, “Écrits «inspirés»: Schizographie”, op. cit., p. 379.
  3. Cfr. M. Nadeau, Histoire du Surréalisme, Le Seuil, Paris, 1964.
  4. J. Lacan, “Écrits «inspirés»: Schizographie”, op. cit., p. 379.
  5. Ibidem.
  6. R. Desnos, Corps et Biens, Gallimard, Paris, 1930.
  7. J. Lacan, “Écrits «inspirés»: Schizographie”, op. cit., p. 372.
  8. Cfr. J. Lacan, “Discorso sulla causalità psichica”, in Scritti, Einaudi, Torino, 1974.
  9. J. Lacan, “Écrits «inspirés»: Schizographie”, op. cit., p. 382.
  10. Ivi, p. 381.
  11. J. Lacan, Il Seminario, Libro III, Le psicosi, op. cit., p. 26.
  12. J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo, op. cit., p. 93.